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il mercanted’arte | contro di cesare lanza | n°14 anno primo | 1979

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Premessa:

Non ho mai avuto «padrini», ho conosciuto però diversi mercanti e critici d’arte che detengono il monopolio ed il potere i quali si comportano come il personaggio di questo racconto.

Le e cose che sto per scrivere non avrei nemmeno voglia di dirle, perché mi ricordano le lunghe camminate che ho fatto per le strade di Milano e ho l’impressione di risentire ancora quel tremendo mal di piedi. Era la primavera di alcuni anni fa. Mi aggiravo per le vie della grande città alla ricerca di un mereante o di una gallerista che si interessasse a farmi fare una mostra per poter vendere così qualche quadro da sbarcare il lunario. Un mio amico addentrato nel mercato dell’arte mi disse: «Ho parlato dei tuoi quadri coi cognato del pittore S.; ha una grande galleria ed è un mercante molto quotato; mi è sembrato molto interessato alla tua pittura. Vai a trovarlo e vedrai che quello risolverà i tuoi problemi».

Un piccolo uomo pensieroso con i baffi, con la fronte alta e calva e con il viso freddo. Stava seduto dietro un tavolinetto nella sua galleria in Via Brera. Lo salutai e mi presentai. Nervosamente mi guardò fisso per un pd; poi disse: «Conosco i suoi quadri; so già quello che vuole ma quello che vuole io non posso darglielo, a meno che … » s’interruppe e mi fissò ancora negli occhi. «Chi sono i critici che hanno scritto sui suoi quadri?» chiese. «Nessuno» risposi pronto.

«Per esporre nella mia galleria si deve far scrivere un piccolo saggio da Raffaele Carrieri» disse. «lo non conosco Raffaele Carrieri. Come faccio ad andare a chiedere ad una persona che non conosco di scrivere sui miei quadri? Questo dovrebbe essere un suo compito. Lo chieda lei per me». Silenzio. Puntai lo sguardo verso il pavimento e pensai: un altro fiasco. Il gallerista sollevò la testa e disse: «Sono tanto pensieroso e così afflitto. lo amo tre cose nella vita. Mi ascolta?» Dissi di sì abbassando la testa. Si passò la lingua sulle labbra spesse e mi chiese: «Lei sa perché amo tre cose?» «No, non lo so» risposi. Scrollò le spalle e disse: «Amo tre cose più belle della vita. La prima cosa è la pittura: per me la pittura è il sogno d’amore».

Questo è impazzito – pensai, e abbozzai un mezzo sorrìso. «Di che cosa sorride?» chiese con voce nervosa. «Sorridevo di me» risposi. «Le dicevo che io amo tre cose» continuò «La pittura, le donne … » S’incupì in viso e si zittì. All’improvviso mi chiese: «Quanti coglioni ha?» Risi forte e non risposi. «Perché ride? Che gusto prova a ridere?» disse in modo brusco, quasi violento. «Mi scusi» mormorai imbarazzato. Mi chiese ancora: «Quanti coglioni ha?» Visto che continuavo a non rispondere canibiò discorso e disse: «Lei è venuto da me per chiedermi di farle fare una mostra: le chiedo quanti coglioni ha e non risponde, ma si può allora sapere che cosa è venuto a fare da me? Si può sapere?» ribadì con forza. «lo non voglio niente da Lei e non sarei nemmeno venuto a trovarla se non fosse stato per quel mio amico che è anche suo amico» risposi e aggiunsi: «L tanto strano quello che mi chiede». «Che cosa c’è di strano, che cosa le ho chiesto di tanto strano? Le ho chiesto quanti coglioni ha e questo lei lo trova strano? Ma sù, andiamo, non mi faccia ridere». Si alzò dalla sedia dovera seduto e si mise a passeggiare per la galleria. Il gallerista si fermò davanti a un quadro, lo osservò attentamente come se lo vedesse per la prima volta, pqi girò lo sguardoverso dì me e disse: «Milano è una città malinconica. E una città grande, ma morta. Si vuole dare l’aria d’essere viva, ma puzza già di cadavere». Si mise a passeggiare, parlava da solo, come se io non ci fossi. «Il mese scorso sono stato a Cuba» disse «Ho fatto una mostra laggiù di un grade pittore, mio cognato». Mi puntò gli occhi sul viso e mi chiese: «Lei conosce mio cognato? Conosce la sua pittura?»

«Non lo conosco, ma so che è un grande pittore» risposi. Il mercante mì lanciò un mezzo sorriso e disse ancora: «Da Cuba sono passato a Toronto per prendere accordi per un’altra mostra. Sono stato a visitare le cascate del Niagara e lì ho incontrato Umberto Eco». Fece una pausa e mi chiese: «Lei conosce Umberto Eco?» «Solo di nome» risposi fiaccamente. «Dovrebbe conoscerlo di persona» e con veemenza aggiunse «pochi uomini sono intelligenti come Umberto Eco. Per me è stata una grande foratuna conoscerlo in un paese straniero. Che uomo! Certi uomini di fron te a lui sembrano formiche».

«Non lo so» risposi. «Lei non sa niente» gridò il gallerista. «Non conosce Carrierì, non conosce Eco, non conosce mio cognato … Però ha cono sciuto la strada per venire a chiedere una mostra. Almeno sa dirmi quanti coglioni ha?» «Quanti ce ne ha lei» risposi scazzato. 1 suoi occhi si accesero come due lampade al tungsteno e con un filo dì voce rispose: «Perché ha detto quanto me? Ma allora anche lei ama i cavalli?» «Il ca vallo è un animale che mì piace, è una bella bestia» dissi.

«Lei l’ha cavalcato qualche volta?» mi chiese. «No, non ho mai cavalcato un cavallo» risposi. Il mercante si risedette sulla sedia e si accovacciò la testa fra le mani. A mezza voce disse: «lo amo i cavalli, le donne e la pit tura». «Beato lei che se lo può permettere» risposi seccato e cercai l’uscì ta per andarmene. «Ma non è venuto per chiedermi una mostra?» mi rin corse. «Sì, son venuto per questo, ma lei mi parla di cavalli, di donne, di coglioni. Non so dove vuole arrivare, cosa mi vuole significare» risposi mentre mi avvicinavo all’uscita. Uuomo abbozzò stancamente un gesto con la mano e disse: «Oh, caro amico, non voglio che lei se ne vada così, non voglio che lei si faccia una brutta opinione di me». Parlava con voce stanca. Continuò: «Io amavo cavalcare … Poi un giorno il mio cavallo è impazzito e mi scaraventò per terra». Fece una pausa e continuò: «Non bisogna mai fidarsi della calma di un cavallo, come nemmeno della cal ma del mare e della parola di una donna». Si avvicinò di un passo e mi disse piano, sussurrando: «Sa cosa vuol dire vivere senza coglioni? … » Esitai prima di rispondere. Dissi: «Mi dispiacc». Il gallerista si avvicinò alla piccola scrivania, tirò su,la cornetta del telefonò e formò un nume ro. Chiamò il suo autista. Riattaecò e disse: «Le faccio una proposta: se mi cede un coglione non se ne pentirà. Venderà tanti di quei quadri, e a prezzi di artisti che sono sul mercato da oltre trent’anni. Farò scrivere una monografia sulla sua pittura: ci saranno le firme prestigiose, da Te stori a Sala, da Calvesi al Gruppo dell’Arco. Ci saranno tutti: anche Eco. Può contare su tutti all’infuori di‑Argan … Quello ha fatto più danni lui all’arte che la grandine all’uva. La farò esporre in tutte le gallerie del mondo». Girai il viso dall’altra parte perché non riuscivo a sostenere il suo sguardo. La sua fronte calva ed il suo naso sporgente erano piani che si intersecavano nella luce al neon che illuininava la sua galleria.

Ora i suoi occhi mi sembravano due caverne. Provai un profondo scoramento e dissi: «Mi dispiace, ma non posso accettare». Nel frattempo era arrivato fl suo autista, disse: «Sono qui». Il gallerista‑mercante si alzò dalla sedia e gli andò incontro: «Accompagna questo signore da Raffaele Carrieri» disse. «No, la ringrazio: non ho più nessun interesse a fare la mostra» mi affrettai a rìspondere. «Non basta essere un buon pittore per fare successo, ci vuole anche un p(:; di fortuna. Lei l’ha trovata questa fortuna e non sia così sciocco da chiuderle la porta in faccia. Ha tutto il tempo per pensarci. Intanto vada da Carrieri e senta cosa dice». E lui aprì la porta della macchina.

In macchina mi sentivo scontento come non mai. Attraversammo la città. La strada scorreva veloce fra squarci rossastri di luce di un sole malato. Poggiai la testa sul sedile. Andavo da Raffaele Carrieri come un automa. La vettura rallentò e si fermò davanti a un inonumentale palazzo. Uautista mi aprì la porta e disse: «Prenda l’ascensore‑ schiacci il quarto piano». Salii. Suonai il campanello senza nemmeno guardare il nom tanto mi sentivo vuoto e confuso. Dopo un pc; aprirono la porta. Un uomo con in mano una scopa, vestito con un pantalone nero e una giacca a righe rosse senza bavero, mi guardò esitante. Chiesi: «Abita qui Raffaele Carricri?» Un gatto persiano, zoppo di una gamba, ch’era vicino all’uomo miagolò. Uuomo mi guardò confuso e non rispose. Anch’io l’osservai. Poi posai su di lui lo sguardo oscurato da una perplessità e mi accorsi che anche lui mi guardava perplesso. Ci guardavamo come due persone che hanno l’impressione di conoscersi. Disse: «Ha sbagliato piano: Carrieri abita al piano di sopra. Questa è casa C., presidente della X. Il suo viso divenne severo, tanto che mi diede l’impressione di una faccia scolpita nel legno duro di ciliegio. Chiesi scusa. La durezza dei suo volto si sciolse. Notai che quella severità era opera delle piccole angustie quotidiane che deve subire un collaboratore domestico. Chiamai l’ascensore e lui restò ancora fuori dalla porta a guardarmi. Nel lasso di tempo che aspettavo l’ascensore l’uomo si provò due, tre volte a chiamarmi, ma non lo fece: si costringeva ad attendere. Aspettava che fossi io a dire ancora qualcosa. Arrivò l’ascensore, aprii la porta, mi girai per un po’ di successo, per vendere un quadro?» «Balle» rispose M. «Sono balle. Se lei si vuole realizzare, e sviluppare la personalità artistica, deve reprimere il suo orgoglio. Scriveva uno scienziato americano che non c’è sviluppo senza repressione, ed è la verità. Ma cosa crede, che io sia soddisfatto di pulire il bagno di G? No, non sono per niente contento, però se voglio sviluppare la mia personalità devo fare, dare qualcosa». Lo guardai con stupore per la sua franchezza e risposi: «Preferiseo tenermi i miei due coglioni e rinunciare a sviluppare la mia arte». Segui una breve pausa. Un po’ titubante M. replicò: «lo ho creduto di darle un consiglio che le poteva giovare. Comunque, per grazia di Dio. siamo un paese libero e lei è padrone di tenersi il suo coglione; però coli due coglioni non farà mai la mostra, non riuscirà a vendere nessun quadro, almello ad un certo prezzo, e non troverà nessuno disposto a seriverle un saggio. Ora la saluto: devo far presto a finire le pulizie. Alle diciotto devo essere al giornale e non ho ancora scritto il fondo per domani. Alle ventuno devo commentare la notizia del giorno a Telemondo … Non dormo lienimeno due ore per notte. Caro amico, e lei pensa al suo coglione». Mi salutò e chiuse la porta. Restai pensieroso e mi toccai i coglioni. Avevo paura di averne già perso uno. Non salii al piano di sopra da Carrieri e scesi le scale a piedi accelerando sempre di più il passo.

Vincenzo Guerrazzi


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